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L’indetraibilità dell’IVA nelle fatture per operazioni inesistenti in “reverse charge”

La Suprema Corte di Cassazione a fine anno è stata nuovamente chiamata ad esprimersi in relazione alla detraibilità dell’IVA relativa a fatture per operazioni inesistenti, emesse in inversione contabile.

Con ordinanza n. 21706 del 08 ottobre 2020, gli ermellini hanno ribadito che il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo  e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Conseguentemente l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, deve provare che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere dell’inesistenza soggettiva.

In relazione alle fatture ricevute in “reverse charge”, il committente o cessionario riceve tale fattura senza indicazione dell’Iva a debito e la integra con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta, provvedendo ad annotarla sia nel registro delle fatture emesse, sia in quello degli acquisti. Pertanto, in condizioni normali, in cui il soggetto ha pieno diritto alla detrazione, l’IVA si elide. Con l’inversione contabile le due posizioni, debitorie e creditorie, nascono in capo al “medesimo soggetto” (committente), elidendosi a vicenda, ed esonerando in tal modo il soggetto passivo dalla materiale anticipazione monetaria. Se, invece, vi è una situazione di limitazione al diritto alla detrazione, al debito si accompagnerà un credito limitato o nullo, determinando un obbligo di versamento della differenza. In tal modo, al posto del cedente sarà il cessionario, se soggetto passivo di imposta nel territorio dello Stato, ad essere obbligato all’assolvimento dell’imposta.

I giudici sottolineano che: “Nel caso di operazioni inesistenti in regime di inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all’articolo 28 octies, anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò, dunque, incide sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ossia la corrispondenza anche soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata. Infatti, “la presentazione di false fatture […] alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è […] atta a compromettere il funzionamento del sistema comune dell’Iva” e “il diritto dell’unione e non impedisce agli Stati membri di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi”.

Pertanto, nel caso in cui l’iva sia stata detratta dalla cessionaria con il regime domestico di inversione contabile, a fronte di frode con fatture emesse da cartiere per operazioni soggettivamente inesistenti, non può trovare applicazione il più generale principio secondo cui il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui l’operatore nazionale non ha applicato – o non ha applicato correttamente – la procedura dell’inversione contabile senza violazione dei requisiti sostanziali

La Cassazione, con l’ordinanza n. 19652 del 21 settembre 2020, ha ribadito che il destinatario  di una fattura in “reverse charge”, relativa ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, “non  può  esercitare  il   diritto   alla   detrazione dell’imposta”.

Nell’ordinanza si legge: “quanto al rilievo sull’applicazione del regime dell’inversione contabile, poi, la questione investe un profilo in diritto, ossia il regime di detraibilità in caso di autofatturazione di operazioni inesistenti, che integra un posterius logico e giuridico rispetto alla valutazione della loro natura, la cui contestazione ha, dunque, carattere pregiudiziale ed impedisce il formarsi del giudicato. Giova osservare, infatti, che nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’Iva integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui alla Dir. n. 1977/388/CE, art. 28-octies, par. 1, lett. d), (ora Dir. n. 2006/112/CE, art. 203), anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, – sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza, anche solo soggettiva (e, a maggior ragione, se oggettiva) dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata”.

Risulta opportuno ricordare che già in precedenza la Cassazione si era espressa, ad esempio con l’ordinanza n. 2862 del 31 gennaio 2019, nella quale aveva confermato che il destinatario  di una fattura in “reverse charge”, relativa ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, “non  può  esercitare  il   diritto   alla   detrazione dell’imposta”.

Infatti, nel caso  di  operazioni  inesistenti  in  regime  d’inversione contabile, il committente è l’effettivo soggetto d’imposta e l’IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti  è  dovuta, in base al principio comunitario di cui all’art. 28-octies, anche quando  si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Conseguentemente, il cessionario non può esercitare  il  diritto  alla  detrazione  dell’imposta  mancando   il   suo presupposto, ovverosia la corrispondenza  anche  soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, per il combinato disposto dall’art. 21, comma 7, art. 19, comma 1 e art. 26, comma 3 del DPR 633/1972.

La Suprema Corte ha evidenziato che non viene in rilievo la mera  inosservanza  di  obblighi contabili,  ma la totale assenza  dei  presupposti sostanziali suscettibili di dar fondamento al diritto alla detrazione, e ciò a fronte dell’esistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta  portata  in fattura.

La questione analizzata si riferiva alla cessione di rottami, constatata come operazione inesistente.  La disciplina nazionale per il commercio dei rottami prevede che la  fattura  sia  emessa  dal  cedente  senza  addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui al D.P.R. n.  633  del 1972, art. 21 e s.s., e con l’indicazione di cui all’art. 74, comma  8,  che si tratta di operazione con Iva non addebitata in via di rivalsa; la fattura è quindi integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo  d’imposta, con l’indicazione dell’aliquota e della imposta  stessa,  per  essere,  poi, registrata nel registro delle vendite  dal  cessionario,  che  in  tal  modo assolve l’obbligo di  pagamento  del  tributo,  detratto  con  la  parallela annotazione  nel  registro  degli  acquisti;   trattandosi   di   operazione imponibile, inoltre, il cedente conserva il diritto all’ordinaria detrazione dell’imposta relativa agli acquisti inerenti.

Nella  vicenda  esaminata dai giudici ermellini,  non  è  contestato  che  la   società contribuente abbia regolarmente  effettuato  l’inversione  contabile  a  suo carico e reso neutrali le operazioni; rileva, invece, che  dette  operazioni siano  state  ritenute  soggettivamente inesistenti.

La Corte di Giustizia su tale problematica  ha  precisato che “la presentazione di false fatture o di false dichiarazioni,  alla  pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è idonea ad impedire la riscossione dell’importo esatto dell’imposta e, pertanto, è atta a compromettere il buon funzionamento  del  sistema  comune  dell’IVA”  e  “pertanto,   il   diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di  considerare  l’emissione  di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi” (sentenza, 7 dicembre 2010, in C-285/09, R.,  punti 48 e 49);

I giudici europei, con la sentenza 11 dicembre 2014, in C-590/13, “Idexx Laboratoires Italia”,  hanno statuito che gli artt. 18, paragrafo 1, lettera d),  e  22  della  direttiva 77/388/CEE, come modificati, devono essere interpretati nel senso  che  tali disposizioni dettano requisiti formali  del  diritto  a  detrazione  la  cui mancata osservanza, “in circostanze come  quelle  oggetto  del  procedimento principale“, non  può  determinare  la  perdita  del  diritto  medesimo  ove sussistano i requisiti sostanziali del diritto a detrazione che sono  quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione  del  diritto,  la  sua insorgenza, (punto 41 sentenza “Idexx”), e consistono nelle  circostanze che gli  acquisti  siano  stati  effettuati  da  un  soggetto  passivo,  che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi  siano  utilizzati  ai  fini  di  proprie  operazioni imponibili (punto 43).

La Cassazione ha ritenuto che le fatture oggettivamente o soggettivamente inesistenti, non sono carenti dei presupposti formali ma risultano prive dei presupposti sostanziali.

Risulta opportuno ricordare che tale conclusione è frutto di un orientamento  giurisprudenziale  sia domestico sia unionale, vedasi sentenza n. 958 del 17 gennaio 2018  della Cassazione Civile, Sez. V.  In quest’ultima sentenza i giudici hanno altresì precisato che non possono trovare applicazionei più favorevoli trattamenti fiscali  e  sanzionatori  previsti dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9, 9-bis.1,  9-bis.2,  e  9-bis.3, introdotti dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15  posto  che  alle  operazioni imponibili soggettivamente inesistenti fa  riferimento  soltanto  il  citato comma 9-bis.3 che prevede che siano espunti in sede di accertamento  sia  il debito che la  detrazione  computate  nelle  liquidazioni  dell’imposta  dal cessionario o committente che applica l’inversione contabile  ma  solo  ‘per operazioni esenti, non  imponibili  o  comunque  non  soggette  a  imposta’. Quindi, tali favorevoli trattamenti ‘non trovano applicazione  nel  caso  di operazioni  imponibili  soggettivamente  inesistenti  ancorché  regolate  in regime domestico d’inversione contabile’” . Stessa interpretazione è stata espressa con sentenza n. 16679 del 9 agosto 2016  della Cassazione Civile, Sez. V. Risulta opportuno sottolineare che in quest’ultima sentenza i supremi giudici hanno precisato che: “[…] il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, n. 3,  introdotto  dal decreto di riforma del sistema sanzionatorio tributario (D.Lgs. n.  158  del 2015, art. 15), prima stabilisce: ‘Se il cessionario o  committente  applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque  non soggette a imposta, in sede di accertamento devono  essere  espunti  sia  il debito computato da tale soggetto nelle  liquidazioni  dell’imposta  che  la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando  il  diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non  detratta  ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 3, e del D.Lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2’. Poi aggiunge: ‘La disposizione  si applica anche nei casi di operazioni  inesistenti,  ma  trova  in  tal  caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque  e  il  dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 Euro’.  Il  che  significa che devono essere espunti sia il debito computato che la detrazione  operata nelle liquidazioni dell’imposta anche nei casi di operazioni inesistenti che siano astrattamente ‘esenti,  non  imponibili  o  comunque  non  soggette  a imposta e che  siano  regolate  dal  cessionario  coll’inversione  contabile interna’.  Per  l’insidiosità  che  verosimilmente  si  ritiene   che   tale fattispecie rivesta, trova solo in tale ultimo caso applicazione la sanzione amministrativa tra il cinque e il dieci per cento  dell’imponibile  (con  un minimo di mille Euro).  Dunque,  i  più  favorevoli  trattamenti  fiscali  e sanzionatori introdotti dal comma 9 bis, n. 3, non trovano applicazione  nel caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti ancorché  regolate in regime domestico d’inversione  contabile.  La  diversa  conclusione,  che potrebbe essere desunta dal non chiaro tenore della  relazione  illustrativa laddove si parla di “procedura”, non rileva poiché ogni testo normativo deve essere interpretato secondo il  suo  contenuto  obiettivo  mentre  i  lavori preparatori non costituiscono elemento decisivo per la  sua  interpretazione (Cass. 1654/1962). Non rileva neppure la recentissima modifica  dell’art.  21,  comma  7, D.Iva:  ‘Se  il  cedente  o  prestatore  emette   fattura   per   operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato  o  corrispondente  alle  indicazioni  della fattura’. Si tratta di disposizione che, introdotta dal D.Lgs.  n.  158  del 2015, art. 31,  è  applicabile  dal  primo  gennaio 2016 sempre  ai  sensi dell’art. 32, comma 1 (mod. L. n. 208 del  2015,  art.  1,  comma  133).  La relazione illustrativa afferma che la modifica opera  ‘al  fine  di  rendere chiaro che la relativa prescrizione non riguarda le  ipotesi  di  operazioni soggette a reverse charge’. Ciò tocca, però,  unicamente  la  posizione  del cedente verso il fisco  e  non  quella  del  cessionario  il  quale  per  le operazioni  inesistenti,  anche  se  solo  soggettivamente,  ma  pur  sempre imponibili perde comunque il diritto di detrazione per effetto del combinato disposto dell’art. 19, comma 1, e dell’art. 26, comma 3 D.Iva.

Al riguardo, risulta opportuno sottolineare che la rivista online dell’Agenzia delle Entrate, il 30 settembre 2020, ha pubblicato l’ “avviso ai litiganti” dal titolo “Niente operazione niente detrazione per il destinatario del reverse charge”.[1]

In conclusione, considerando che:

  • l’orientamento giurisprudenziale consolidato della Suprema Corte di Cassazione, in riferimento a fatture in “reverse charge”, per operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, evidenzia che tali fatture non sono carenti dei presupposti formali ma risultano prive dei presupposti sostanziali;
  • nell’ “avviso ai litiganti” della rivista online dell’Agenzia delle Entrate, si legge che in relazione a fatture per operazioni inesistenti in inversione contabile “l’imposta è dovuta e mancandone il presupposto non può essere esercitato il diritto al recupero dell’imposta”;

sembrerebbe che il destinatario  di una fattura in “reverse charge”, relativa ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, “non  possa  esercitare  il   diritto   alla   detrazione dell’imposta”.

(A cura di Marco Cardillo)

Riferimenti

[1] FiscoOggi.it – Niente operazione niente detrazione per il destinatario del reverse charge


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