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Rassegna sulla tassazione e contribuzione nel lavoro dipendente: parte prima

1 – Premesse – Principi informatori

1.1 – Il significato e l’effettiva portata dell’armonizzazione

La c.d. armonizzazione – caratteristica del sistema di tassazione e contribuzione nel lavoro dipendente – risponde ad una esigenza di semplificazione, in senso proprio, degli adempimenti connessi con la determinazione del reddito di lavoro dipendente, ai fini dell’assolvimento degli obblighi tributari, e con la determinazione della retribuzione utile per l’assoggettamento all’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro e del lavoratore, al fine dell’attuazione degli obblighi di finanziamento del sistema italiano di previdenza ed assistenza sociale.

Più esattamente, secondo la legge delega 662/1996, il d.lgs. 314/1997, artefice dell’attuazione di queste finalità, è stato redatto ed emanato, tra l’altro, per “armonizzare, razionalizzare e semplificare le disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e i relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro” (art. 3, comma 19).

È quanto meno evidente che i tre termini utilizzati, nel contesto della delega di principi, inducono all’idea di una agevolazione operativa, contrapposta al caotico sistema di calcolo e determinazione delle retribuzioni, demandato interamente, come da sempre ritenuto opportuno, ai datori di lavoro, attraverso i meccanismi della sostituzione d’imposta e dell’accollo dell’obbligazione contributiva (determinazione, assolvimento, ecc.) e connessa rivalsa pro quota.

Che queste agevolazioni siano state determinanti è ancora tutto da dimostrare, soprattutto laddove i moderni sistemi di gestione degli adempimenti amministrativi a carico delle aziende siano attuati – come generalmente è – attraverso strumenti informatici sofisticati che, concretamente, mediante (anche sensibili) modifiche dei modelli di calcolo ed elaborazione, hanno ridotto la semplificazione ad una nuova e diversa serie di procedimenti tecnici, i quali, una volta impostati, si sono rivelati esattamente idonei all’assolvimento dei suddetti adempimenti, senza apprezzabili cambiamenti (se non una tantum, in fase di avviamento) e proceduralizzando un diverso modo di lavorare).

Anticipando un’obiezione, preciso che quanto detto vale, ovviamente, per gli adempimenti strettamente operativi, i quali, peraltro, rappresentano certamente la parte più gravosa della gestione amministrativa del personale delle moderne aziende.

Resta da dimostrare in che termini si è evoluto il lavoro – evidentemente più concettuale – della valutazione, rimessa al datore di lavoro interessato, di volta in volta, nell’ambito dell’opera di qualificazione specifica della natura di ogni emolumento retributivo (e non), al fine precipuo dell’assolvimento dei propri obblighi istituzionali nei riguardi dell’erario e del sistema previdenziale pubblico.

A me pare che, sotto questo specifico aspetto, il lavoro dei soggetti interessati sia rimasto pressoché identico, risolvendosi la decantata rivoluzione normativa e amministrativa del decreto 314, in una modifica dei criteri di elaborazione concettuale dei giudizi di qualificazione preliminari all’adempimento dei suddetti obblighi.

Su un piano più generale, peraltro, secondo quanto osservato da attenti commentatori, sembra privo di qualsiasi logica assoggettare lo stesso reddito a forme di prelievo diverse, disciplinate da norme giuridiche differenti, troppo spesso addirittura contraddittorie, la cui gestione è demandata a plurimi organi che operano utilizzando poteri e facoltà privi di qualsiasi collegamento.

Replicando, e guardando le cose da un altro punto di vista, devo sottolineare la circostanza che il legislatore ha certo delegato il Governo ad apprestare una disciplina armonica, ispirata a semplicità, caratterizzata da criteri omogenei rispetto agli aspetti ed alle finalità del settore – previdenziale e/o fiscale – nell’ambito del quale vengono imposti obblighi ed oneri, ma alla condizione che la disciplina non recasse oneri aggiuntivi o minori entrate per il bilancio dello Stato (cfr. art. 3, comma 20, legge 662/1996).

Senza dimenticare, inoltre, che è da considerarsi finalità collaterale anche un più agevole esercizio delle attività di controllo da parte delle amministrazioni pubbliche interessate, rendendo più stretta la collaborazione tra le stesse.

È stato anche sottolineato come la disciplina del decreto 314 sembri aver tenuto conto della necessità di non frapporre ostacoli allo svolgersi della dialettica contrattuale tra le parti private, concorrendo, anzi, all’attività di revisione di alcuni istituti e di talune regolamentazioni assunte in sede contrattuale, collettiva e/o aziendale, posto che la stessa è venuta incontro a talune esigenze operative dei datori di lavoro, come per le previsioni specifiche in tema di trasferta, trasferimento ed esodo dal luogo di lavoro.

Diversamente, sotto un profilo più strettamente economico e finanziario, sia al livello di economia della singola impresa che di politica economica generale, è concorde ed incontestato che la miniriforma ha portato con sé un allargamento generalizzato della base imponibile contributiva e fiscale. Su questo punto, almeno, sono tutti d’accordo, soprattutto negli effetti che la normativa ha determinato in termini di aumento del costo del lavoro e del carico fiscale, a sfavore, rispettivamente, delle imprese e dei lavoratori subordinati.

(Continua nella seconda parte)

(A cura dell’Avv. Pasquale Dui)


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a cura del Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D. Via Padova, 5 – 20025 Legnano (MI) – C.F. 92044830153 – ISSN 2282-3964 Testata registrata presso il Tribunale di Milano al n. 92 del 26 marzo 2013
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