Il pane salato di chi è costretto all’ “esilio” professionale
Quando, oltre venti anni fa, lasciai Napoli – casa mia – alla volta di Roma, per compiere gli studi universitari, lo feci con l’atteggiamento spavaldo di chi, a 18 anni, sente di avere il coraggio di sfidare il mondo.
Non sapevo neppure bene cosa mi muovesse né mai avrei potuto immaginare che Roma, dopo gli studi e per mezzo di immani sacrifici di ogni tipo, sarebbe poi diventata la mia città d’adozione.
Eh sì, perché terminati sia gli studi universitari che la specializzazione post-universitaria in Diritto tributario – con un Master ed un Dottorato di ricerca all’attivo ed acquisito anche il titolo professionale di Avvocato – a 26 anni avrei scoperto, amaramente, che nella mia amata città non c’era chance di ritornare in maniera stabile e definitiva, a meno di accettare di lavorare gratis per vari anni e, comunque sia, senza grandi prospettive di crescita.
Dopo aver sottoposto il mio curriculum tanto presso realtà professionali meneghine che romane, mi decisi ad accettare un’imperdibile opportunità lavorativa nella Capitale, confidando, in cuor mio, che quella prima esperienza non avrebbe tarpato le ali al “sogno” di potermi “impiegare”, successivamente e volendolo, anche nella mia Terra, vicina alla mia famiglia ed ai miei affetti più cari.
E, di fatto, con grandissimi sacrifici ed un costante focus su tale obiettivo, dopo oltre dieci anni, riuscii ad incanalare quantomeno una piccola parte della mia attività di assistenza professionale anche nei confronti di realtà del Sud, dovendo, tuttavia, tristemente constatare che, senza affiancarla all’attività svolta a Roma (città cui sono profondamente grata per avermi dato tanto sotto ogni punto di vista) e successivamente finanche a Milano, non avrei mai e poi mai potuto garantirmi, in via autonoma, l’adeguata sopravvivenza economica.
Questa stessa realtà la vedo ripetersi con mia sorella e con i miei tantissimi giovani allievi del Master di diritto tributario – alcuni dotati di enorme talento – che si vedono, oggi, ancor più di allora, costretti a lasciare il Meridione in cerca di un “futuro migliore”.
E oggi, come allora, mi prende un pò di sconforto misto ad indignazione nel pensare che, sebbene il Meridione produca tantissime eccellenze e talenti professionali, gli stessi si trovino impossibilitati ad operare al Sud in maniera sistematica, per via della carenza di strumenti e servizi, vedendosi spesso costretti all’ “esilio” professionale.
E quello che sento ripetere a questi giovani – quasi come una cantilena ascoltata altrove e poi pronunciata in assenza della giusta consapevolezza – è l’erroneo postulato che al Sud manchino le risorse economiche per crescere.
Ma così non è.
Al Sud le risorse economiche ci sono sempre state, se non fosse che sono sempre state mal impiegate o addirittura, inutilizzate e, così, di fatto, sprecate, per colpa di un’Amministrazione incauta ed incapace di correttamente canalizzarle negli investimenti che avrebbero consentito la “svolta” economica.
La tematica assume toni ancor più attuali oggi che, con il vincolo posto dalla UE ad utilizzare parte del Recovery Fund nello sviluppo del Meridione italiano, non v’è chi non veda come quelle risorse, prodighe di sviluppo e ripresa (si badi, non solo per il Sud, ma per l’intero Paese) ci siano eccome, salvo rischiare di perderle ancora una volta in mancanza di un fronte – fatto da Comuni e Città metropolitane, in primis, e, a seguire, Regioni del Sud – compatto, che ponga il tema della nota questione meridionale all’attenzione, non più rinviabile, del Governo.
Occorrerebbe far capire a tutti che il Sud non può – né deve – essere relegato nello stereotipo di realtà arretrata, sottosviluppata e abitata da fannulloni, trattandosi, di contro, di una Terra con bellezze naturalistiche uniche al mondo, grandi menti in ogni campo del sapere e tanti giovani che meritano di avere le stesse chance dei loro colleghi del resto d’Italia. Perché incrementare tale miope ed infondato stereotipo equivarrebbe ad abbandonare, totalmente, il Meridione a sé stesso ed abbandonare alle sue sorti l’area dell’Italia mediterranea finirebbe, in maniera paradossale, col pregiudicare il Paese intero.
Occorre che le regioni del Meridione, una buona volta, si uniscano in un fronte compatto, un vero e proprio “Sud federato” – per dirla con le parole del Prof. Claudio Signorile, del Prof. Ettore Jorio e di quella Intellighenzia illuminata che si è resa portavoce di tale iniziativa, individuandone anche le modalità attuative – e portino all’attenzione del Governo i temi “sensibili”, per l’utilizzo di parte delle risorse comunitarie nel rilancio dell’Italia mediterranea; rilancio attuabile realizzando investimenti nella rete stradale e ferroviaria, nei trasporti pubblici locali, nello smaltimento dei rifiuti, nella tutela delle acque e del nostro impareggiabile Mare, al netto dei quali i cittadini del Sud continuerebbero a vedersi indiscriminatamente privati delle adeguate condizioni di vita e, peraltro, alcuno sviluppo del Turismo (di cui il Sud potrebbe, da solo, vivere) risulterebbe possibile nella maniera adeguata.
Abbisogna che la Scuola, fucina di formazione delle nuove generazioni e la Sanità, che dovrebbe operare a favore dei più deboli ed i più fragili, come gli anziani (e, così, purtroppo non accade, come la tragedia del Covid-19 ha, chiaramente, mostrato), ritrovino quegli standard di adeguatezza minima, che si richiedono ai servizi pubblici essenziali.
Infine, c’è necessità di fiducia e speranza, quelle che io non ho mai smesso di coltivare negli anni della mia formazione e che, serbando, intatte, tuttora, mi spingono a scrivere di questo tema per porlo in primo piano sulla nostra Rivista, con l’augurio che i tanti giovani che (insieme agli economisti, ai tecnici e agli addetti ai lavori) leggono le coltivino allo stesso modo, cavalcando l’idea che, con maggiore unità, consapevolezza e “fare attivo”, il nostro amato Sud possa tornare a rifiorire e a dare impiego ai quanti ancora oggi – ripetendo una storia già tristemente vista – si vedono costretti a lasciarlo per guadagnarsi il futuro.
(A cura del Direttore Responsabile Serena Giglio)
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