Commento alla sentenza – Studio ACP vince a Roma sul credito R&S
Con la sentenza della 5918/2022 odierna, in via inedita presso le Corti romane, la CTP di Roma accoglie il ricorso del contribuente a cui era stato accertato e recuperato il credito alla ricerca e sviluppo correttamente fruito in base alle indicazioni fornite dall’AE con originaria circolare 5/E del 2016 (che poneva rimando al manuale di Oslo), poi modificate “in corso d’opera” con la circolare n. 59990 del 2018 (che poneva, invece, rimando al Manuale di Frascati).
I Giudici di pronunciano in maniera lapidaria, accogliendo TUTTE le eccezioni sollevate dalla difesa del contribuente.
Di seguito alcuni punti salienti del prorompente arrêt.
“Con specifico riferimento al concetto di innovazione, nella circolare n. 46586 del 16 aprile 2009 – avente ad oggetto la “vecchia” disciplina del credito di imposta per la ricerca industriale e sviluppo precompetitivo di cui all’art. 1, commi 280-284, della L. n. 296/2006 – il MISE affermava espressamente che le attività di innovazione di processo, per come definite nel Manuale di Oslo (e non di Frascati), rientravano tra le attività agevolabili al credito R&S (“Il rilievo attribuito alla innovazione discende dall’adesione ad una definizione di ricerca e sviluppo proprio del Manuale di Oslo, il cui orientamento è volto non tanto a monitorare la sola attività di R&S in termini di effetti sulla produttività dell’impresa, quanto a porre l’innovazione quale parametro dell’indagine volta ad individuare lo sforzo dell’impresa verso lo sviluppo e la creazione di un prodotto nuovo o significativamente migliorato”); e, com’è noto, il Manuale di Oslo, a differenza del Manuale di Frascati, non richiedeva come presupposto fondamentale, un superamento tecnico-scientifico che apporti un beneficio per l’intera economia bensì che “il prodotto o il processo sia nuovo (o significativamente migliorato) per l’azienda (non deve essere nuovo per il mondo)” . A distanza di due anni dall’emanazione della suddetta circolare n. 5/E del 2016, il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) aveva pubblicato la circolare n. 59990 del 9 febbraio 2018 affermando, per la prima volta, che la fonte interpretativa per la corretta applicazione del credito R&S fosse il Manuale di Frascati. Successivamente, l’Agenzia delle entrate, nell’ambito di altri documenti di prassi (i.e. risoluzioni n. 46/E del 22 giugno 2018 e n. 40/E del 2 aprile 2019, sub Allegati nn. 5 e 6), aveva affermato che, sulla scorta di quanto previsto dalla circolare n. 59990/2018 e dal Manuale di Frascati, affinché un’attività innovativa fosse eleggibile al credito R&S, questa avrebbe dovuto prevedere il superamento di un ostacolo scientifico o tecnologico, producendo un beneficio per l’intera economia, evidenziando come non possano essere ritenute ammissibili le attività che apportavano un ampliamento delle conoscenze a livello della singola impresa. Era evidente, quindi, come l’Amministrazione finanziaria, a distanza di appena due anni dalla pubblicazione della circolare n. 5/E del 2016, avesse cambiato approccio eleggendo il Manuale di Frascati (e non più il Manuale di Oslo) quale fonte interpretativa di riferimento ai fini del credito R&S. Ora era evidente l’illegittimità (o meglio dire l’assurdità) di un simile operato: l’Agenzia delle entrate contestava alla Società l’indebita fruizione di un credito di imposta maturato nell’anno 2016, nel pieno rispetto della normativa e delle indicazioni di prassi all’epoca vigenti, sulla base di una più stringente interpretazione del requisito della novità che il MISE aveva fornito – si badi bene – per la prima volta nel 2018. Inutile dire che un simile operato era contrario al principio di legittimo affidamento e buona fede che, fino a prova contraria, dovrebbe essere alla base del rapporto Fisco-contribuente. E ad ulteriore riprova della “confusione” normativa creata dall’Amministrazione finanziaria a seguito dell’emanazione dei più volte citati documenti di prassi (i.e. circolare n. 59990/2018 e risoluzioni n. 46/E del 2018 e n. 40/E del 2019), il Legislatore aveva recentemente introdotto la c.d. sanatoria del credito R&S, prevista dall’art. 5, commi 7-12, del D.L. 21/10/2021, n. 146, proprio per porre un rimedio ai disagi causati nell’ambito delle attività di verifica intraprese nel corso degli ultimi anni; addirittura, il Legislatore aveva ammesso alla sanatoria anche le imprese che non avevano subito una attività di verifica, consentendo alle stesse di restituire il credito di imposta fruito senza pagare sanzioni e interessi. Occorre anche aggiungere che la nuova norma sul credito s’imposta ricerca e sviluppo (articolo 1, comma 200, della legge 160/2019) menziona espressamente il rispetto del Manuale di Frascati per la fruizione del beneficio a riprova che per il passato detto requisito non era richiesto e tale disposizione non era nè retroattiva nè interpretativa. Da ultimo il collegio giudica fondate le argomentazioni svolte dalla parte ricorrente in ordine alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 5, del D.lgs. n. 471/1997: l’illegittimità della sanzione irrogata dall’Ufficio in assenza di una condotta fraudolenta della Società. Orbene, tale modus operandi da parte dell’Ufficio risultava, innanzitutto, contrario alla stessa ratio sottesa all’art. 13, comma 5, del D.lgs. n. 471/1997. Tale disposizione prevedeva che “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli artt. 16, comma 3, e 17, comma 2, del Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’art. 54-bis del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. Viceversa, qualora – come nel caso di specie – il credito venga disconosciuto per questioni puramente interpretative concernenti la lamentata carenza dei requisiti oggettivi previsti ex lege per potere beneficiare dell’agevolazione de qua, non potrebbe certo ricorrere l’ipotesi del credito inesistente, ma al più quella del credito non spettante. È indubbio infatti che, laddove il credito d’imposta – compensato tramite modelli F24 – sia stato correttamente inserito nelle dichiarazioni dei redditi presentate, accompagnato dalla Relazione illustrativa dei progetti, come pure dalla certificazione del revisore legale dei conti attestante l’effettività dei costi sostenuti (come avvenuto nel caso di specie), non possa essere addebitato al contribuente alcun comportamento fraudolento, avendo lo stesso fornito, in sede di eventuale verifica, tutta la documentazione comprovante le modalità di calcolo del credito d’imposta, al fine di poter beneficiare a pieno titolo della disciplina agevolativa prevista dal D.L. n. 145/2013. Pertanto l’atto impugnato deve essere annullato
(A cura di Serena Giglio)
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