Inflazione politica e monetaria: la Banca Centrale Europea ha le mani legate?
Dopo circa un decennio caratterizzato da un’inflazione nulla e, addirittura, leggermente negativa, i principali Paesi sviluppati hanno riscoperto, con grande rammarico, questo fenomeno economico che, ripeto, dal 2008 sino al 2020, è rimasto una semplice notazione tecnica rintracciabile sui testi accademici.
L’inflazione, nonostante rappresenti un’erosione del potere d’acquisto, se contenuta ed adeguatamente monitorata dalle autorità monetarie, la Banca centrale europea ha come mandato quello di perseguire la stabilità dei prezzi, individuata in un tasso d’inflazione annuo inferiore ma prossimo al 2%, rappresenta uno stimolo per il sistema economico ed è sinonimo, sul fronte della stabilità monetaria, di un’economia resiliente e in salute.
Per quale motivo un tasso d’inflazione, positivo ma moderato, nonostante riduca la nostra ricchezza reale sia un fattore benevolo per l’economia di un Paese?
Partiamo dalle certezze e proseguiamo andando a ritroso: Un tasso d’inflazione galoppante ovviamente danneggia la struttura economico-sociale di un Paese perché, a parità di salario nominale, l’incremento persistente e marcato nel livello generale dei prezzi dei beni e servizi comporta una prevedibile riduzione dello standard qualitativo della vita per consumatori e imprese, celando il sistema economico in un limbo di incertezza dal quale uscirne risulta essere complesso.
La storia, d’altronde, insegna e appena un secolo fa nella Repubblica di Weimar l’inflazione raggiunse circa il 29.000 % su base mensile; in Argentina e Brasile, attorno agli anni ’90, la situazione macroeconomica non fu sicuramente delle più rosee con un incremento medio del livello dei prezzi stimato sul 2000 % su base annua.
Cosa voglio dire con questo?
Il sistema economico, studiando il comportamento e le relazioni degli agenti economici, è molto complesso ed in continua evoluzione ma vi è un fattore, la cui presenza fa sì che la nostra vita possa o meno, economicamente parlando, essere più stabile possibile e meno soggetta alla variabilità dei cicli economici: La fiducia.
La fiducia, nella vita di ogni persona, è un elemento indispensabile affinché i rapporti e le relazioni sociali possano rimanere consolidate nel tempo e, qualora, ciò venisse meno inevitabilmente inizieremmo, in un clima di grande disorientamento mentale, a inseguire nuove certezze e paradigmi che possano suscitare in noi fiducia e reciproco rispetto.
L’economia funziona esattamente così, vi sono periodi di crescita economica in cui il reddito nazionale aumenta, la disoccupazione diminuisce e le imprese incrementano la capacità produttiva aggregata e gli investimenti, alternati poi da fasi recessive e depressive. I cicli economici esistono perché si intervallano periodi di fiducia ed euforia seguiti da stagnazione e pessimismo.
Il sistema economico mondiale dopo il 1971, anno in cui il Presidente degli Stati Uniti d’America R. Nixon sancì conclusi gli Accordi di Bretton Woods1, si fonda sulla cosiddetta fiat money ovvero una moneta fiduciaria. Riflettiamo un attimo insieme: le banconote, che tutti i giorni utilizziamo e impieghiamo per effettuare transazioni, altro non sono che fogli di carta privi di valore materiale intrinseco, non vi è alcun legame tra esse e l’oro o particolari metalli preziosi come durante il Gold Standard, in cui gli agenti, avendo fiducia in essi, li riconoscono come mezzi di pagamento e li scambiano in cambio di beni e servizi.
La Banca centrale ha perciò l’arduo compito di dover difendere il valore di una valuta e far si che la fiducia in essa non venga mai messa in discussione, altrimenti l’intera impalcatura, su cui è stato edificato il sistema economico moderno, potrebbe essere sradicata in un istante.
Facciamo un esempio: vi recate al bar per consumare il solito buon caffè per iniziare al meglio la giornata e, dopo averlo gustato intensamente, il barista vi dice che da oggi il caffè costerà ben 5 €. Perplessi non capite se vi stia, volontariamente, ingannando o se, data l’ora siate ancora leggermente assonnati. La triste e spiacevole verità è che senza alcuna fiducia in una valuta il sistema dei prezzi, come tutti noi conosciamo, non esisterebbe e ogni venditore sarebbe spinto ad incrementare i prezzi, semplicemente temendo che ciò che abbia nel portafoglio non abbia valore in termini di capacità d’acquisto. Questo, come dovremmo aver intuito, porterà nel medio periodo a una iperinflazione potenzialmente fuori controllo.
L’inflazione, secondo le ultime stime relative al mese di novembre, si attesta nell’Eurozona attorno al 9,2%. La Banca centrale europea, in virtù di ente regolatore del sistema monetario, è chiamata a intervenire per rispondere al suo mandato di stabilità monetaria. I due strumenti di politica monetaria, a disposizione della Banca centrale, per incidere sul sistema economico sono: il controllo dei tassi d’interesse e la quantità di moneta disponibile nell’economia.
L’istituto di Francoforte, nella sua ultima conferenza stampa del 27 ottobre per illustrare le nuove decisioni di politica monetaria, ha confermato il terzo aumento consecutivo di 75 punti base sui tre tassi d’interesse di riferimento.
Un aumento dei tassi d’interesse, ripercuotendosi sul costo del finanziamento delle banche commerciali presso la Bce, ha l’obiettivo di incrementare il costo del prendere denaro a prestito per le imprese, famiglie e Stati e sancisce, perciò, una precisa volontà di ridurre il credito nell’economia.
Famiglie e imprese che hanno stipulato contratti di mutuo a tasso variabile vedranno un significativo incremento nell’onere della rata da versare, e dovendo rimborsare più liquidità per servire il debito, minore sarà la messa monetaria a disposizione del sistema economico, con l’obiettivo che questo comporti una riduzione della domanda i prezzi con una contestuale diminuzione del livello medio dei prezzi.
L’inflazione che stiamo sperimentando in questi mesi è legata, anche e soprattutto, alla carenza di materie prime e allo shock energetico derivante dell’incertezza scaturita in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina.
L’Italia come sappiamo ha un debito pubblico, in percentuale del Pil, i circa il 140 % e una stretta monetaria dell’Eurotower implica, per tutti i Paesi ovviamente, un incremento dei tassi d’interesse sul debito per compensare gli investitori con maggiori rendimenti a causa dell’elevata inflazione2. Lo scenario macroeconomico futuro per il nostro Paese è molto incerto soprattutto per due ragioni:
- Un incremento della spesa per interessi sul debito pubblico con un’inevitabile perdita di risorse utili per fronteggiare la crisi energetica;
- Rischio di una recessione economica a causa della riduzione della stretta monetaria decisa da Francoforte.
Per concludere: La Bce sta affrontando oggi la sfida più complessa dal 2012, in quanto non compiere scelte, anche forti e decise, per salvaguardare la stabilità dell’euro rischierebbe seriamente di innescare una crisi fiduciaria nella valuta con conseguenze potenzialmente devastanti per l’intera Unione Monetaria, dal momento che gli investitori e i mercati non crederebbero più alle decisioni varate dalla Bce che ne uscirebbe sconfitta e inerme.
F.E. Kydland e E. Prescott3 nel loro modello economico: “la politica monetaria ed il problema dell’incoerenza temporale”, sostengono come solo provocando una deliberata recessione, o comunque un rallentamento dell’economia, gli investitori e i mercati finanziari riuscirebbero a percepire l’impegno deciso di una Banca centrale nell’impegnarsi nella lotta all’inflazione e nel far fede al mandato che gli compete.
Riuscirà l’istituto di Francoforte a salvaguardare l’euro e a non perdere la sua reputazione anti inflazionistica preservando l’euro?
(A cura di Matteo Bongiovanni)
Ulteriori approfondimenti:
1Gli Accordi di Bretton Woods si tennero nell’omonima città nel New Hampshire e durarono dal 1 al 22 luglio 1944. Si tratta di Accordi economici per creare, ormai conclusa la II guerra mondiale, un nuovo coordinamento economico internazionale. Il Dollaro americano divenne la valuta cardine del sistema monetario internazionale, alla quale tutte le altre valute erano legate da un regime di cambi fissi, potendo essere convertita su precisa richiesta in oro (35 $ per oncia).
2A parità di rischio un incremento del tasso d’inflazione, data la riduzione in termini reali del potere d’acquisto della valuta, comporta un incremento dei tassi d’interesse sui titoli del debito pubblico di nuova emissione e, data la relazione inversa esistente tra prezzo del titolo e rendimento, una diminuzione del prezzo dei titoli di stato emessi in precedenza dal momento che ad essi sarà corrisposto un minor rendimento. Ciò impatta sicuramente sui detentori dei titoli di Stato e soprattutto su banche e istituti previdenziali che, nell’attivo dei loro bilanci, detengono molte obbligazioni statali.
3Vincitori del Premio Nobel per l’Economia nel 2004 per i loro contributi alla macroeconomia dinamica.
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a cura del Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D. Via Padova, 5 – 20025 Legnano (MI) – C.F. 92044830153 – ISSN 2282-3964 Testata registrata presso il Tribunale di Milano al n. 92 del 26 marzo 2013
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